Dal punto di vista storico la rivoluzione in Tunisia è molto simile a quella del 1979 in Iran.
Almeno la prima impressione che si ha è proprio questa.
In Iran il cambio del regime è cominciato con le rivolte dei mercanti del bazar. Poi c’è stata la rappresaglia da parte delle forze dell’ordine, con tanti morti e feriti, con il risultato che al posto di calmarsi come sperava il regime la situazione è degenerata ancora di più con la commemorazione di massa che si ripeteva sempre più frequentemente. Alla crescente violenza da parte delle forze di sicurezza corrispondeva un numero sempre maggiore di persone che scendeva nelle piazze per il lutto. Come noto alla fine lo Scià dovette lasciare il paese.
La fiamma che ha incendiato la Tunisia è stata la morte di un giovane che si è bruciato vivo dalla disperazione. Il suo atto è stato simbolico e rappresentativo. Il ragazzo morto proveniva da una famiglia di classe media ed era laureato. Ciononostante non solo non ha potuto trovare un posto di lavoro decente, ma gli è stato anche impedito quello più miserabile: la vendita di generi alimentari per strada. Molta gente si è immedesimata nei suoi panni.
Gli affari migliori (le banche, le concessionarie e quant’altro) li facevano i famigliari di Ben Ali. Anche gli altri politici erano nello stesso tempo uomini d’affari.
In questo modo quelli che non avevano un posto nelle “sfere del potere” erano marginalizzati sempre di più. Si trattava soprattutto della classe media che con la corruzione aveva sempre meno opportunità di incidere nella vita economica, soprattutto per i giovani. Inoltre la corruzione che non favorisce certo la competizione ha fatto sì che il costo della vita era in continuo aumento.
Ci sono altri aspetti molto simili alla rivoluzione iraniana. Il più banale è la completa sorpresa dell’accaduto per le potenze estere. La reazione molto soft dei governi europei alle rappresaglie che nelle prime due settimane hanno preferito guardare dall’altra parte, non fu molto diversa da quella americana nel 1979. Pur disponendo della sede CIA per il Medio Oriente proprio in Iran, l’amministrazione di Carter fino all’ultimo non si aspettava che il regime dello Scià potesse cadere.
La cosa peggiore è stata l’incompetenza dei governi occidentali nel prevedere gli eventi. In Egitto – un altro paese molto a rischio – sono passate le elezioni con le quali la principale forza d’opposizione, i “fratelli musulmani”, è stata esclusa dal parlamento. Però la reazione dell’Europa alla “farsa elettorale” è stata così poco rilevante che oggi nessuno è in grado di ricordarsela. Ciò significa che l’Europa sta cercando di giocare alla realpolitik. Purtroppo quest’ultimo approccio si limita solo al sostegno dei regimi al potere nei paesi nordafricani. Il problema è quindi che la classe dirigente europea oggi non è in grado di calcolare altri scenari oltre alla banale accettazione del regime di turno, fintanto che sia in linea con i propri interessi economici.
Altro aspetto interessante è la futura compagine della nuova classe dirigente tunisina. A questo punto due sono gli scenari più probabili. Il primo prevede che i militari si assumano le responsabilità per le sorti del Paese. Di sicuro godranno dell’appoggio europeo, considerato che la gran parte degli alti ufficiali tunisini è addestrata in Francia, con la conseguenza che ciò garantirà la continuità per quei governi europei che hanno interessi in tutto il Nord Africa. Fra l’altro non va dimenticato che questo scenario è stato già applicato nell’Algeria all’inizio degli anni 1990.
L’altra opportunità è un governo formato con la partecipazione dei “fratelli musulmani” (movimento Nahdha) che, tra l’altro, dispongono di una forte rete sociale basata su un sistema di solidarietà. Sarebbe un’ impresa non facile visto che il regime di Ben Ali non ha mai tollerato l’opposizione. Gran parte di coloro che faranno strada nel futuro hanno vissuto fuori dal paese e per questo non hanno le competenze necessarie.
Infatti non stiamo parlando dell’attuale e molto efficiente leadership della Turchia (basti vedere i risultati conseguiti nell’ultimo decennio) – che ha cominciato il suo percorso già negli anni 50 avendo anche le possibilità di partecipare alla gestione della cosa pubblica – nel caso della Tunisia si sta parlando di una classe dirigente che dovrà fare questo lungo percorso (se sarà lasciata in pace) in poco tempo.
A lungo termine potrebbe essere anche un vantaggio degli stessi europei appoggiare un governo formato con la partecipazione dei “fratelli musulmani”, visto che bisogna in qualche modo stabilire i rapporti con questa forza sempre più presente in tutto il Medio Oriente (in diverse forme). Fra l’altro questo potrebbe mettere il freno all’ulteriore radicalizzazione di tipo “Al-Qaida”. La Tunisia da questo punto di vista potrebbe diventare un laboratorio di convivenza tra le nuove forme di governo nel mondo arabo e gli stati europei, anche perché non disponendo di idrocarburi non attira l’avidità delle società petrolifere europee che spesso si comportano come veri e propri “Ministri degli esteri”.
L’altro aspetto interessante del caso Tunisia è il ruolo di Al Jazeera. In Iran nella fase cruciale della rivolta contro lo Scià erano distribuite le audiocassette con i sermoni di Khomeini. In Tunisia, dove la censura è sempre stata particolarmente rigida, la gente guarda principalmente il canale televisivo del Qatar. Questo è un fatto significante anche per gli altri regimi del Nord Africa, come per esempio quello egiziano che ha addirittura “sfrattato” Al Jazeera (nel caso della Tunisia questo non servì a niente). Essendo i rais persone di una certa età che a malapena conoscono l’esistenza del “satellite”, pensano di poter controllare i media semplicemente utilizzando una censura di vecchio stampo. Però le parabole e i cavi di internet hanno preparato a questi “Scia” sorprese poco piacevoli.
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L’autore: Ernest Š. Sultanov, economista e islamologo, consulente della Duma della Federazione Russa, è membro del Comitato scientifico di Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici