“Alla fine degli anni 90 il primo ministro del Kosovo Hashim Thaci era capo di un gruppo criminale in stile mafioso coinvolto in omicidi, pestaggi, traffico di organi e altri reati”: lo dice un rapporto all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa diffuso oggi.
Un’accusa immediatamente smentita dal governo kosovaro, che ha definito il documento diffamatorio e ha minacciato querela.
Il rapporto, ancora in bozza, che giunge all’indomani della proclamazione da parte della Commissione elettorale del Kosovo della vittoria del partito di Thaci nelle prime elezioni da quando è stata proclamata l’indipendenza, accusa le potenze occidentali di complicità per aver ignorato reati che risalgono ai tardi anni 90.
Thaci e gli altri membri del “Gruppo di Drenica” (la Valle dove avvennero i maggiori scontri tra polizia serba ed UCK, reclamizzati invece dall’Occidente come “pulizia etnica del regime di Milosevic” …) sono consistentemente indicati come “attori chiave” nei rapporti di intelligence sulle organizzazioni criminali simil-mafiose kosovare.
“Abbiamo scoperto che il Gruppo di Drenica aveva come capo o, per usare la terminologia delle reti di crimine organizzato, il suo boss, il celebre politico e forse la più riconosciuta personalità a livello internazionale dell’Uck, Hashim Thaci” è scritto sul rapporto europeo, che il governo del Kosovo, ovviamente, giudica senza fondamenta e diffamatorio.
“Il governo del Kosovo e il primo ministro Hashim Thaci faranno tutti i passi necessari… per respingere le ingiurie di Dick Marty, tra cui mezzi legali e politici”, dice un comunicato dell’esecutivo kosovaro (Dick Marty è il relatore speciale sugli affari legali e i diritti umani del Consiglio d’Europa, che ha elaborato il rapporto).
Ma non solo: “la Ue e’ preoccupata per le denunce di frodi elettorali in Kosovo, ma ricorda che spetta alle competenti autorità nazionali indagare e dare risposte” …
Spetta cioè alle stesse autorità nazionali che il rapporto europeo descrive come “mafiose e criminali”.
Lo ha sottolineato, infatti, la portavoce dell’Alto rappresentante della politica estera della Ue Catherine Ashton, interpellata sulle accuse di ”frodi massicce” che secondo l’opposizione
invaliderebbero parte dei risultati delle elezioni di domenica scorsa in Kosovo.
Se si tratta di una mossa implicita a guadagnare terreno nel fantomatico scontro tra Unione Europea e Stati Uniti per il controllo del Kosovo dubitiamo che funzionerà, visto il ferreo controllo militare (NATO + Camp Bondsteel) e politico (Eulex + ex UCK) che Washington esercita sulla provincia serba, ma potrebbe indirettamente favorire l’azione d’inserimento della Russia che supplisce alle carenze del Governo occidentalista di Belgrado svolgendo azione diplomatica a favore dei Serbi del Nord del Kosovo, dell’ex Vescovo Artemije e perfino della Republika Srpska.
Secondo i risultati preliminari del voto di domenica, che diverranno definitivi solo dopo l’esame dei ricorsi su presunti brogli e irregolarità, il Pdk del premier Hashim Thaci ha ottenuto il 33,5% dei voti, dieci punti in più della Lega democratica del Kosovo (Ldk) del sindaco di Pristina Isa
Mustafa, alla quale e’ andato il 23,6% dei consensi.
Nella nottata tra domenica e lunedì a Pristina ci sono anche stati scontri tra le opposte fazioni.
I casi più sospetti hanno avuto luogo nella circoscrizione dove domina incontrastato il clan del premier uscente.
Lì, a fronte di una partecipazione media al voto del 47,5%, risulta aver votato il 90% degli aventi diritto.
Al terzo posto con il 12,2%, la nuova formazione “Autodeterminazione” del giovane
ultranazionalista Albin Kurti, che al primo punto del suo programma elettorale ha la creazione della “Grande Albania”.
Un’ipotesi che fa tremare le vene ai polsi alla comunità internazionale ma non a quanti, specie alla CIA, lavorano per una nuova destabilizzazione dei Balcani.
Alle sue spalle l’Alleanza per il Kosovo (10,8%) dell’ex primo ministro Ramush Haradinaj, attualmente sotto processo al Tribunale internazionale dell’Aja per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia (processo riaperto dopo un’assoluzione che scatenò furenti polemiche).
In Parlamento entra, con il 7,1% dei voti, anche il partito del discusso magnate Bexet Pacolli.
Aria tesa anche tra le formazioni politiche dei serbo kosovari.
La minoranza (che in base alla Costituzione avrà diritto a 10 seggi su 120 in Parlamento)
nel nord del Kosovo ha seguito l’invito di Belgrado e non è andata a votare.
Quelli al sud del fiume Ibar invece lo hanno parzialmente fatto, ma ora i due principali
partiti si accusano vicendevolmente di brogli.
La partecipazione al voto dei serbi ha irritato non poco Belgrado anche se il sottosegretario al Kosovo Oliver Ivanovic ha minimizzato affermando che «solo 15mila serbi su 140mila aventi diritto si sono recati alle urne».
E’ stata, infatti, solo del 47,8% l’affluenza alle elezioni politiche anticipate in Kosovo, gli aventi diritto al voto erano un milione e 600 mila, ma nel nord a maggioranza serba il boicottaggio e’ stato
pressoché totale .
Alcuni seggi mobili allestiti per le elezioni legislative sono stati attaccati nel nord del Kosovo e
una quarantina di serbi hanno aggredito il personale in servizio a un seggio mobile allestito a Leposavic, dove due persone sono state arrestate.
Nel villaggio vicino, sempre secondo la stessa fonte (cioè la polizia kosovara), é stato
attaccato un altro seggio mobile, mentre a Strpce, enclave serba nell’est del Kosovo é stato aggredito un osservatore in servizio ad un seggio elettorale.
In quest’ultimo episodio cinque persone sono state arrestate.
Mentre sconosciuti hanno attaccato a Zubin Potok, nel nord del Kosovo, l’ufficio di una ong danese.
Secondo fonti diplomatiche, sono stati sparati 25 colpi di arma automatica, che non hanno provocato feriti, ma solo danni materiali all’edificio.
Sui muri sono state lasciate scritte di minaccia contro la forza della Nato Kfor, la missione
civile Eulex e la polizia kosovara e sono stati lanciati anche volantini con le stesse minacce.
Secondo la polizia ad attaccare la ong danese sarebbero stati estremisti serbi contrari alle elezioni legislative.
A causa di questo incidente i seggi elettorali nella cittadina kosovara erano stati aperti con un paio d’ore di ritardo, alle 9,00 invece che alle 7,00.
A Prizren, città nel sud del Kosovo, sono state date alle fiamme tre auto nella nottata e si suppone che si tratti di vendette fra partiti locali.
I serbi di Gracanica, l’enclave a una quindicina di km. dalla capitale Pristina, hanno creduto invece nell’ utilità della loro partecipazione alle elezioni, ritenendo che solo così si può partecipare concretamente alla vita pubblica e al governo locale, creando al tempo stesso i presupposti per migliorare le condizioni di vita della gente comune.
“Se andiamo a votare possiamo influenzare non solo il nostro governo ma anche la comunità internazionale’”, aveva affermato il sindaco di Gracanica Bojan Stojanovic, che si era detto per questo ottimista sull’ affluenza alle urne (e dimenticando forse gli assalti degli estremisti albanesi ai serbi che avevano assistito poche settimane fa, a Gracanica e a Pec, all’insediamento del Patriarca Irenej).
Il sindaco aveva criticato senza mezzi termini gli altri serbi più radicali e intransigenti del nord del Kosovo, che hanno invitato a boicottare le urne e che lui definisce significativamente
“turbo-patrioti”.
La televisione pubblica kosovara RTK ha successivamente mostrato un filmato a dimostrazione dei
brogli verificatisi domenica scorsa in un seggio elettorale di Drenas, nel centro del Kosovo.
Nel filmato, girato da un osservatore diVetevendosije (Autodeterminazione), si vede la stessa persona apporre su varie schede elettorali la crocetta sul simbolo del Pdk, il Partito democratico del Kosovo del premier Hashim Thaci.
Vetevendosije, ha riferito la tv, ha depositato all’ apposita commissione per i ricorsi tutto il materiale e gli elementi a dimostrazione dei brogli e delle irregolarità verificatesi a Drenas.
Shukri Suleimani, presidente della commissione per i ricorsi, ha confermato alla tv che sono stati depositati finora 171 ricorsi, la gran parte dei quali riguarda irregolarità nelle municipalità di Drenas e Skenderaj.
A denunciare irregolarità e brogli a favore del Pdk di Thaci sono stati i rappresentanti di varie forze politiche e preoccupazione per questo hanno espresso le delegazioni di osservatori sia dell’Europarlamento che della rete europea di monitoraggio “Enemo”.
Sono poi scoppiati scontri nel centro di Pristina fra sostenitori del Partito democratico
del Kosovo (Pdk) del premier uscente Hashim Thaci e della Lega democratica del Kosovo (Ldk) del sindaco della capitale Isa Mustafa.
Per separare i contendenti – i sostenitori di Thaci hanno bruciato i poster elettorali dell’Ldk – e’ intervenuta in forze la polizia, che ha bloccato diverse strade del centro città.
I simpatizzanti del Pdk avevano festeggiato la vittoria con caroselli di auto a clacson spiegati, sventolio di bandiere e lo scoppio di petardi.
In serata il leader dell’Ldk Isa Mustafa aveva contestato il successo del Pdk, e i suoi sostenitori erano scesi a loro volta in strada per celebrare la vittoria.
Questa la cronaca dell’ultimo esempio di “nation building” voluto dalle “democrazie” atlantiche.
Intanto, però, povertà e corruzione continuano a condizionare in negativo lo sviluppo del Kosovo, frenando il suo cammino verso l’integrazione europea.
Secondo la Banca mondiale, “il piccolo paese balcanico e’ tra i più poveri d’Europa, con una
disoccupazione al 47%, stipendi bassissimi per professori e medici, pensioni miserabili, e con la gran parte della popolazione che vive con 0,93 euro al giorno.
L’economia del Kosovo resta largamente dipendente dagli aiuti dell’Occidente e dei grandi Istituti finanziari internazionali, in primo luogo Fondo monetario internazionale (Fmi) e Banca mondiale.
La corruzione dilagante e la diffusa criminalità, unite al persistere di una marcata instabilità nel nord del paese – dove più aspra e’ la contrapposizione etnica tra la maggioranza di popolazione serba e la componente kosovara albanese – frenano gli investimenti stranieri, ritenuti determinanti per alleviare la povertà, elevare il livello di vita e accelerare l’integrazione europea del Kosovo.”
Dall’arrivo nel paese della missione europea Eulex si e’ intensificata la lotta alla corruzione, che ha investito le sfere più alte del potere.
Lo scorso ottobre il governatore della Banca centrale é stato destituito dopo il suo arresto e un periodo di detenzione con accuse di corruzione; analoghe accuse hanno riguardato il ministro delle telecomunicazioni e altri funzionari in vista del governo di Pristina.
Sei persone sono state arrestate, poche settimane fa, in relazione al traffico di organi ai danni dei serbi rapiti subito dopo la fine della guerra del 1999 (ma qualcuno fu rapito anche nel 1998, prima dello scoppio delle ostilità).
In un sondaggio effettuato dall’Istituto demografico del Kosovo (Kdi), il 73% degli intervistati ha detto di ritenere che il livello di corruzione dal 2007 é aumentato e solo l’8% pensa che esso si sia ridotto.
Partiti, parlamento e apparato giudiziario sono gli organismi ritenuti più corrotti, mentre ong, ambienti religiosi, polizia e forze armate vengono considerati i settori meno interessati dalla corruzione.
Dal sondaggio é emerso che per il 61% degli intervistati le misure anticorruzione del governo non hanno avuto alcun effetto, rispetto a un 32% che pensa invece il contrario.
Ma ciò che inquieta più di tutto è quanto potrà accadere nella prossima primavera.
“Gli americani sono preoccupati per una possibile spartizione del Kosovo a causa della debolezza
e dell’ indecisione dell’Europa”: è quanto e’ emerso da documenti diffusi dal sito Wikileaks e pubblicati dal quotidiano britannico “Guardian”.
Gli Usa, stando a tali documenti, temono che l’Europa possa cedere alle pressioni dei serbi per una spartizione del Kosovo, cosa questa che porterebbe a violenze interetniche con la popolazione albanese.
I serbi, in un tale scenario, assumerebbero il controllo del nord del Kosovo, a maggioranza di popolazione serba.
Secondo i documenti pubblicati dal “Guardian”, Jovan Ratkovic, consigliere internazionale del presidente serbo Boris Tadic, avrebbe prospettato un tale sviluppo degli eventi alla responsabile della politica estera della Ue Catherine Ashton, sottolineando al tempo stesso all’ambasciatore americano a Belgrado Mary Warlick che i serbi del nord Kosovo non accetteranno mai l’indipendenza del Kosovo e un governo di albanesi.
Secondo Ratkovic, “Belgrado deve accettare il fatto che non potrà più governare in Kosovo, mentre Pristina da parte sua deve capire che non potrà governare anche sulla parte nord del Paese”: Insomma Wikileaks come megafono dei desiderata USA …
* Stefano Vernole, redattore di “Eurasia”, è co-autore de La lotta per il Kosovo (Parma 2007) ed autore de La questione serba e la crisi del Kosovo (Molfetta 2008).