Relazione inviata dal prof. Stefano Pilotto (Docente di Storia dei Trattati e Politica Internazionale e di Storia dell’Integrazione Europea presso l’Università degli Studi di Trieste) per il Seminario di Eurasia “La Serbia, un ponte per l’Europa” (Trieste, 4 dicembre).
Salutando la comunità serba di Trieste, che oggi organizza una interessante conferenza su “La Serbia, un ponte per l’Europa”, desidero fare una breve riflessione su questo attraente paese, che la Storia ed il destino hanno posto nel cuore della regione balcanica. Il mio saluto non va solamente alla Serbia ed al suo popolo, ma anche a quanti pensano seriamente alle ingiustizie e ai problemi che affliggono oggi i Balcani occidentali, nell’intento di trovare delle soluzioni reali, sincere, efficaci per quelle popolazioni. Nel momento in cui, eventualmente, Novak Dioković potrebbe accingersi a sollevare il massimo trofeo tennistico del mondo, la Serbia illuminerebbe un cammino di speranze più ampio, che potrebbe tradursi con un ritrovato sorriso da parte della gente, un sorriso che trascenderebbe certamente i confini di una vittoria conseguita su un campo da tennis. La Serbia ha bisogno di farsi conoscere, di comunicare ad un mondo poco informato le caratteristiche della propria storia, il valore della propria civiltà. Quando i suoi campioni alzano una coppa o ricevono una medaglia, il messaggio patente o discreto che viene inviato al mondo è sempre lo stesso: Kosovo is Serbia. Ma perchè anche gli atleti, perchè anche lo sport, nella sua invidiabile indipendenza politica, viene naturalmente coinvolto in questo messaggio? Perchè dietro a tutto ciò si cela un conflitto epocale, che investe la dignità del popolo serbo, la sua identità, le sue radici. Il conflitto, tuttavia, oltrepassa la frontiera della Serbia ed assume i connotati di una prova di forza che coinvolge una parte più ampia della regione balcanica, l’Europa. E’ l’Europa che, in questa vicenda, è uscita perdente, impreparata, maldestramente impreparata. Qual’è, oggi, il peso e l’importanza della Serbia sulla scena internazionale? Perchè la Serbia rappresenta una grande opportunità per l’Europa, cioè un ponte per il nostro continente? A questi interrogativi si cercherà di rispondere concisamente.
La Serbia è stata la grande vittima delle ultime guerre balcaniche. Dopo la dissoluzione della Jugoslavia, Belgrado ha assistito alla riduzione progressiva della propria sfera di influenza e della propria sovranità nella regione, per effetto di decisioni prese da altri, decisioni che le sue forze non sono riuscite ad arrestare. L’area balcanica che, durante i secoli, aveva visto svilupparsi e consolidarsi la presenza fiorente della civiltà serba è stata teatro di conflitti ineguagliabili ed ha acquisito nuovi e differenti connotati etnici e culturali. Il problema che ci poniamo oggi è il seguente: pur considerando le responsabilità parziali di Belgrado in tale processo di dissoluzione regionale, la Serbia ha meritato una punizione così severa? La risposta obiettiva è no. No. Da ciò emerge la consapevolezza dell’ingiustizia di cui è oggetto oggi la Serbia. L’Europa, invece, procede per la sua strada, parlando di soldi e di sviluppo economico. Se i burocrati di Bruxelles, oltre all’economia dei numeri, avessero appreso anche la storia, avrebbero evitato alcuni errori, avrebbero risparmiato a sè stessi e all’organizzazone che rappresentano delle gaffes ingiuriose.
La Serbia è un paese che ha un peso regionale imprescindibile: non è pensabile una stabilizzazione della regione balcanica senza il coinvolgimento e la partecipazione della Serbia. Gli eredi di Dusciano e dello zar Lazar occupano una posizione geopolitica fondamentale, la loro cultura è radicata e solida, il loro retaggio nel tempo pure. La Serbia, inoltre, ha avuto una funzione storica precisa e costante, dal 14° secolo in poi: contrastare l’avanzata della cultura ottomana in Europa orientale. Rileggendo le pagine di Ivo Andrić (scrittore jugoslavo, premio Nobel per la letteratura), ci si rende conto dell’importanza di tale funzione: è stato un ruolo che la Serbia non ha scelto, ma che ha accettato con grande dignità e che ha comportato un immenso sacrificio di sangue per il suo popolo. Nell’ambito politico internazionale contemporaneo Belgrado viene corteggiata in modo più o meno indiretto dalla NATO e dall’Unione Europea, oltre che dalla Russia. Ciò che mancano sono i presupposti affinchè tali offerte occidentali possano venir accolte sulle rive della Sava e del Danubio. Troppo spesso si auspica che la Serbia dimentichi il Kosovo e accetti le allettanti proposte di natura politica, militare ed economica delle organizzazioni occidentali. Ma ciò non avverrà mai, poichè un paese non può svendere la propria terra, la regione delle chiese e dei monasteri, gli altari sacri del proprio passato. Se l’occidente pensa che i soldi possano avere la meglio, continua a sbagliare. Ci sono valori superiori. La Serbia è un ponte per l’Europa, come il ponte sulla Drina di cui ci parlò Ivo Andrić. Ma l’Europa deve comprendere come percorrere questo ponte per giungere finalmente nelle pianure e nelle montagne della Serbia e trovare la gente del luogo che possa esclamare con il sorriso: “Benvenuta Europa!” Possa l’Italia, nella sua straordinaria ricchezza culturale, avviare un prezioso processo di riesame del recente passato, attirare l’Unione Europea e gli Stati Uniti su un terreno nobile, quello della revisione storica. Consapevole di tale opportunità, l’Italia costruirebbe per prima il ponte che arriva a Belgrado. Il ponte della pace costruita su basi profonde. Con il coraggio della fermezza, con il coraggio della cultura.