Mercoledì 26 gennaio il presidente Karzai ha inaugurato il nuovo Parlamento afghano. In un primo momento l’apertura della rinnovata Wolesi Jirga, la Camera Bassa, era stata posticipata al prossimo 22 febbraio; successivamente, dopo un compromesso raggiunto tra Karzai e i rappresentanti dei deputati eletti, il capo di Stato afghano ha avviato ufficialmente i lavori dell’assemblea, a causa anche delle pressioni esercitate da Nazioni Unite, Stati Uniti ed Unione Europea.
La decisione del presidente di posporre l’inaugurazione del Parlamento era stata presa per permettere a uno speciale tribunale, creato dal capo di Stato con il consenso della Corte Suprema, di risolvere il caso dei numerosi voti contestati e di far luce sui denunciati brogli avvenuti durante le ultime consultazioni elettorali del settembre 2010. Il provvedimento di rinvio della cerimonia d’apertura della Wolesi Jirga era stato preso poco prima della partenza di Karzai per un viaggio ufficiale a Mosca, suscitando una dura reazione da parte dei deputati eletti e le preoccupazioni delle Nazioni Unite e dei Paesi occidentali impegnati in Afghanistan.
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I motivi del rinvio di Karzai e le possibili conseguenze interne
I risultati delle recenti consultazioni sono stati fortemente criticati da Karzai, il quale ha sostenuto che la composizione del Parlamento non rappresenterebbe adeguatamente una gran parte della popolazione afghana. Sarebbe questo il caso del gruppo etnico più numeroso dell’Afghanistan, i pashtun, l’etnia egemone nel sud del paese, l’area recentemente più colpita dall’insurrezione talebana, nonché la zona politicamente più vicina al capo dello Stato.
I candidati risultati sconfitti hanno criticato per mesi le elezioni. Secondo il loro punto di vista, l’insicurezza, la corruzione e la violenza dei talebani hanno comportato la mancata partecipazione di numerosi cittadini afghani alle elezioni, soprattutto nel sud del paese. Tutto ciò avrebbe dunque causato una scarsità di voti pashtun, sottorappresentati in Parlamento. I deputati eletti sostengono, invece, come illegittima e soprattutto incostituzionale la postposizione decisa da Karzai.
Secondo la visione dei sostenitori del presidente, come quella, ad esempio, del procuratore generale Mohammed Ishaq Aloko, la soluzione migliore era quella di congelare l’inaugurazione del Parlamento a tempo indeterminato per permettere alla corte del tribunale speciale di risolvere definitivamente la questione dei brogli. La corte avrebbe avuto, inoltre, tutti i diritti costituzionali per rimuovere un deputato eletto irregolarmente. Aloko sosteneva comunque che le elezioni sarebbero state in ogni caso da annullare, evidenziando come i risultati elettorali delle consultazioni di settembre erano stati viziati da gravissime irregolarità.
Il punto di vista dei candidati vittoriosi, in linea con l’opinione sostenuta dai diplomatici occidentali, è che la corte è illegittima e il rinvio di Karzai era solamente rivolto al fine di avere un Parlamento politicamente vicino alla sua linea di governo. Il vero obiettivo del presidente era quello di indebolire l’assemblea, rinviando continuamente la sua inaugurazione per delegittimarla.
In questi ultimi giorni, dunque, si è registrato un pericoloso scontro tra istituzioni. Senza dubbio, secondo gli analisti e i diplomatici occidentali, la controversia tra parlamentari e Karzai, conclusasi con l’inaugurazione dell’assemblea, nonostante permanga il tribunale speciale adibito al ricontrollo dei voti, coincide con l’isolamento politico del presidente all’interno del Paese. Una delle conseguenze più importanti di questa vicenda è, inoltre, legata al riemergere delle mai del tutto sopite rivalità etniche esistenti in Afghanistan. Il ripresentarsi della conflittualità e della violenza tra le diverse etnie non è un’ipotesi da sottovalutare, rappresenta anzi un serio ostacolo alla stabilizzazione del paese.
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I risvolti geopolitici
Le vicissitudini dell’inaugurazione parlamentare e la linea politica di Karzai hanno dunque degli importanti risvolti di politica interna, offrendo dunque significativi collegamenti con la politica estera e la competizione strategica che è in corso in Asia centrale.
Karzai, accettando i risultati elettorali, si ritroverà a governare con un Parlamento in cui gode di scarsa fiducia e, soprattutto, con una maggioranza poco incline alla possibile fase di collaborazione e dialogo con i talebani, scelta negli ultimi mesi dal capo di Stato. Linea politica recentemente sponsorizzata dall’Arabia Saudita, la quale si è offerta come mediatrice tra governo afghano e talebani. Riyadh avrebbe chiesto ai talebani come primo passo necessario per il dialogo la rottura definitiva dei rapporti con al-Qaeda. Una rappresentanza dei talebani potrebbe essere invitata in qualità di osservatore alla prossima convocazione dell’Organisation of the Islamic Conference (OIC), summit programmato a marzo a Riyadh. L’Arabia Saudita è in prima linea nel favorire il dialogo tra governo afghano e talebani, al fine di ottenere un miglioramento della situazione precaria del paese; secondo la prospettiva di Riyadh, e secondariamente di Washington, per prevenire l’aumentata influenza iraniana nella regione. L’OIC ha già invitato ufficialmente Burhannuddin Rabbani, vertice dell’Afghan High Peace Council, l’organismo voluto da Karzai e avente come fine primario la riconciliazione nazionale e il dialogo con i talebani.
La questione del rinvio parlamentare, inoltre, è strettamente legata ai rapporti esistenti tra gli Stati Uniti e l’amministrazione Karzai. Washington non considera positivamente la linea politica del capo di Stato afghano e, soprattutto, la decisa accelerazione del presidente verso la pacificazione con i talebani. Karzai ha sostenuto, inoltre, che la mancata rappresentazione dei pashtun potrebbe aumentare il carattere insurrezionale delle regioni meridionali, paventando un’ulteriore base d’appoggio per i talebani. In questi giorni però gli Stati Uniti hanno appoggiato il nuovo Parlamento, sostenendo la sua legittimità e sfavorendo di conseguenza le prospettive di un dialogo con i talebani. Karzai starebbe puntando su un’alleanza tra i diversi gruppi etnici afghani avendo come fine un accordo di pacificazione con gli insorti, ma l’attuale maggioranza parlamentare non garantisce l’appoggio politico necessario a tale scopo.
Le ulteriori preoccupazioni americane erano legate al fatto che la mancanza di un organo istituzionale forte come il Parlamento, simbolo dell’unità del Paese, avrebbe potuto ostacolare la stabilizzazione dell’Afghanistan. Il rischio, inoltre, secondo gli analisti, sarebbe stato che il cospicuo investimento degli ultimi due anni della comunità internazionale per garantire un processo elettorale all’Afghanistan, avendo come obiettivo finale il graduale trasferimento di poteri, si sarebbe trasformato in un completo fallimento.
Da parte di Washington c’è da diversi anni una considerazione negativa di Karzai. Gli Stati Uniti starebbero puntando per il futuro su altri protagonisti della scena politica afghana, come lo sfidante di Karzai alle elezioni presidenziali del 2009, Abdullah Abdullah, il portavoce del nuovo Parlamento, Younus Qanooni e l’ex capo dell’intelligence afghana Amrullah Saleh. La sfiducia americana nei confronti di Karzai non è solamente collegata al rinvio dell’apertura della Wolesi Jirga, ma è connessa alle scelte di politica interna ed estera del presidente e agli interessi statunitensi in Asia centrale e meridionale.
Uno degli obiettivi degli Stati Uniti in Afghanistan è quello di garantire una forte presenza americana in Asia Centrale, fine che, secondo Washington, potrebbe essere ostacolato dalla politica estera di Karzai. Il presidente afghano non vedrebbe favorevolmente la creazione di basi militari permanenti nel paese, mentre, nello stesso tempo, sta sviluppando dei legami sempre più forti, anche militari, con Mosca e Teheran, così da ridurre la dipendenza americana dopo il 2014. Questi legami sono confermati dall’intenzione russa di affidare a Kabul un ruolo chiave all’interno della Shanghai Cooperation Organization.
Washington osserva con preoccupazione la sempre più crescente cooperazione militare di Karzai con Russia e Iran, così come viene giudicato negativamente il riavvicinamento con il Pakistan. La recente visita di Rabbani a Islamabad avrebbe registrato una diverso atteggiamento pakistano nei confronti dell’attuale amministrazione afghana. Secondo la visione statunitense, Kabul e Islamabad condividono diverse soluzioni per risolvere determinate questioni di politica estera, sono entrambe contrarie alla strategia militare del generale americano David Petraeus e, soprattutto, hanno ambedue la reale intenzione di incrementare il dialogo con i talebani.
La prospettiva di Washington volta al raggiungimento della pacificazione dell’Afghanistan ha importanti connessioni con la strategia americana in Asia centrale e meridionale, la quale si scontrerebbe con le scelte degli altri protagonisti della politica internazionale interessati ad aumentare la propria influenza nell’area. Secondo quanto emerge dal recente documento ufficiale The Obama Administration’s Priorities in South and Central Asia di Robert Blake, assistente del Segretario di Stato per gli affari dell’Asia centrale e meridionale, Washington ha tra gli obiettivi chiave della propria politica estera l’incrementare il proprio impegno in Asia centrale, considerato un fondamentale crocevia confinante con Afghanistan, Cina, Russia e Iran, nonché in Asia meridionale, un’area di grande importanza strategica e commerciale, dove l’India è considerata un affidabile alleato. I punti base del documento sono tre: supportare lo sforzo internazionale in Afghanistan, costruire una forte partnership con l’India e sviluppare una più forte e durevole collaborazione con i paesi dell’Asia centrale. Secondo Washington, dunque, la cooperazione con l’India controbilancerebbe il recente riavvicinamento tra Afghanistan e Pakistan, considerato negativamente anche da Delhi. Inoltre, sia gli Stati Uniti che l’India valutano la questione afghana e il migliorato rapporto tra Kabul e Islamabad collegati alla sfida posta dall’aumentata influenza cinese in Asia centrale e meridionale[9]. L’Afghanistan, la sua stabilizzazione e la sua politica interna, caratterizzata negli ultimi giorni da una possibile crisi istituzionale, rappresentano dunque per gli Stati Uniti un fondamentale nodo strategico per lo sviluppo degli interessi americani in Asia.
*Francesco Brunello Zanitti, Dottore in Storia della società e della cultura contemporanea (Università di Trieste)